Più di 400.000 persone accompagnano la Vergine della Cabeza nel più antico pellegrinaggio di Spagna
Il turismo religioso è più che mai di moda
Il festiva torna ad Andújar dopo due anni di assenza e punta a essere dichiarato di interesse turistico internazionale
Enrique Sancho
Passione, devozione, fervore, preghiere, lacrime; ma anche gioia, balli, orgoglio, fraternità e buoni vini. Tutto questo si unisce alla celebrazione del Pellegrinaggio della Vergine della Cabeza ad Andújar (Jaén), nel cuore della Sierra Morena, accanto al Parco Naturale della Sierra de Andújar, uno dei pochi luoghi dove è possibile ammirare la lince iberica in libertà. Si dice che sia la più antica festa di tutta la Spagna, risale alla prima metà del XIII secolo, e quella che attira il maggior numero di pellegrini: per tutte queste ragioni aspira a diventare presto una manifestazione di interesse turistico internazionale.
Ma cosa spinge più di 400.000 persone – tra fedeli, pellegrini, devoti o semplici turisti – a venire ogni ultima domenica di aprile a rendere omaggio a questa Vergine in questa parte dell’Andalusia? La tradizione vuole che nella notte tra l’11 e il 12 agosto 1227, a pochi chilometri dal luogo della battaglia di Navas de Tolosa del 1212 tra arabi e cristiani, Juan Alonso de Rivas, un pastore di Colomera (Granada), vide strane luci e udì il suono di una campana tra i cespugli e le rocce in cima a una collina; lì, gli apparve l’immagine della Vergine della Cabeza che gli guarì un braccio e gli chiese di costruire un santuario in quel luogo. Inizialmente la gente non credette alla storia, ma dopo il miracolo della guarigione cambiò idea.
L’attuale scultura è in legno di cedro policromo in stile bizantino, è scurita dal tempo e per questo conosciuta come “La Morenita”; ha sostituito nel 1944 l’originale, distrutta durante la guerra civile, ma ciò non ha impedito ai fedeli della Vergine di portare avanti una tradizione di 800 anni, qualunque sia l’immagine che la rappresenta. Già nel XVII secolo la Vergine della Cabeza de Andújar (più correttamente Maria Santissima della Cabeza) contava più di 70 confraternite nate da quella madre di Andújar, e il numero ha continuato a crescere nel tempo fino ad arrivare quasi a 90. È probabilmente la Vergine con il maggior numero di confraternite, gruppi o corporazioni in tutta la Spagna e alcune sono addirittura in America Latina. Questo spiega le centinaia di migliaia di persone che si riuniscono ogni anno l’ultimo fine settimana di aprile, finalmente anche quest’anno, dopo due anni di stop a causa del Covid: “Sono stati tempi difficili da cui dobbiamo imparare per continuare a progredire in questo cammino di vita e fratellanza e ora possiamo tornare a celebrare pienamente questa festa ancestrale e universale”, ha dichiarato il sindaco di Andújar, Pedro Luis Rodríguez Sánchez.
Le celebrazioni iniziano il giovedì con il suono delle campane e una pioggia di petali di rosa che accolgono la Vergine, tra gli applausi e i cori “Viva la Vergine della Cabeza” di migliaia di pellegrini che arrivano da tutta la Spagna per questo pellegrinaggio unico. La processione segue un lungo percorso che arriva alla Plaza de España, dove la Vergine viene inondata di fiori, passa a San Miguel Arcángel dove viene messa sul trono sull’altare principale e, all’inizio del venerdì, arriva al Ponte Romano dove vengono accolte le confraternite filiali, con i loro alfieri e le loro gigantesche bandiere che le rendono omaggio, per poi giungere alla Plaza de España, dove la Vergine viene omaggiata con fuochi d’artificio.
Inizia il pellegrinaggio
I fiori in piena sbocciatura di primavera fanno da sfondo all’andirivieni dei pellegrini lungo i sentieri della sierra. A piedi, a cavallo, sui muli o sui carri, a migliaia esprimono la voglia di festa, ma con una devozione profonda e sincera, facendo della convivenza la loro migliore forma di preghiera. Il venerdì si svolge una processione di cavalli e altri eventi culturali che culminano con l’accoglienza ufficiale delle confraternite provenienti da tutto il Paese e dall’estero; questo segna l’inizio del vero e proprio pellegrinaggio. Il sabato mattina sfila per le vie della città la “ Real Cofradía Matriz” di Andújar, il cui corteo si arricchisce di un maggior numero di cavalieri, cavallerizze e coppie a cavallo, senza dimenticare i muli e i maiali bardati. Poi arrivano i carri trainati da trattori e decine di migliaia di persone a piedi. Li attende una camminata di 10 ore attraverso un paesaggio naturale unico nelle montagne di Jaén. L’atmosfera festosa della partenza si mantiene lungo il percorso che porta all’eremo di San Ginés, prima tappa della giornata, per proseguire fino al prato di “Lugar Nuevo”, accanto al fiume Jándula, dove si pranza, per poi proseguire il cammino verso il Santuario. L’incontro nel grande prato è sicuramente il momento più festoso e spensierato, quando si condividono cibo, vino, risate, canti e balli.
La grande notte dei vespri
All’arrivo al Santuario, alcuni salgono l’ultimo tratto a piedi nudi o in ginocchio in segno di penitenza, si può assistere alle presentazioni delle diverse confraternite davanti alla Vergine. Per tutta la notte nella cappella si può vivere un momento di intimità con la Beata Vergine, insignita nel 2009 da Papa Benedetto XVI della Rosa d’Oro, un privilegio che condivide con solo altre 14 Vergini al mondo. Ci sono messe e rosari nella chiesa. E fuori, i festeggiamenti continuano. Chi può dorme sui carri, per terra con i sacchi a pelo, in tende di fortuna o in alcuni spazi riservati della “Casa Cofradía Matriz”. Ma molti non dormono e passano il tempo chiacchierando, cantando, ballando, mangiando e bevendo, alternando una visita alla cappella o partecipando ad alcune delle varie messe e preghiere.
E finalmente arriva la domenica, il grande giorno, il culmine della festa, l’apoteosi di Maria in cima alla montagna. Sulla spianata del Santuario viene allestito un altare per consentire alla maggior parte dei pellegrini e delle pellegrine di assistere e partecipare all’Eucaristia. Il suono delle campane della chiesa annuncia, verso mezzogiorno, il momento più solenne e il culmine del pellegrinaggio, la processione della Santissima Vergine della Cabeza. Tutte le confraternite sono già schierate lungo la strada e una moltitudine di devoti si accalca intorno al corteo della processione con la statua che inizia a percorrere le strade della collina, portata da quasi un centinaio di confraternite che si sono contese l’onore, passando anche la notte in piedi, senza dormire, per non perdere il posto d’onore. Due monaci trinitari portano i bambini piccoli in braccio vicino alla Vergine perché possano baciarla e ricevere la sua benedizione. Gli adulti si accontentano di gettarle sopra alcuni abiti che in questo modo vengono anch’essi benedetti.
È praticamente certo che tra i pellegrini di un tempo ci fosse Miguel de Cervantes, che ne parla ne “Los trabajos de Persiles y Sigismunda” (1617); è infatti considerato il primo cronista del pellegrinaggio. Anche Lope de Vega lo cita ne “La tragedia del Rey don Sebastian” e “La conversión del príncipe de Marruecos”.
Quando la scultura torna nel Santuario, dopo un viaggio di quattro ore, inizia un nuovo anno per i pellegrini che ripartono verso i loro luoghi d’origine, portando con sé rosmarino e steli da distribuire tra amici e parenti e un “pito” di argilla, un piccolo strumento musicale popolare di cui si hanno notizie fin dal XVII secolo, per incoraggiarli ad accompagnarli l’anno successivo a rivivere l’esperienza.